martedì 26 ottobre 2010

Jack London, il visionario



"Il genere umano è condannato a sprofondare sempre più nella notte primordiale prima di ridare la sua cruenta scalata alla civiltà."
La peste scarlatta

E' strano constatare come nella letteratura esistano corrispondenze a dir poco bizzarre per un occhio che la osservi attraverso il caleidoscopio del tempo. "La peste scarlatta" di Jack London - racconto apocalittico del 1912 che tratta l'estinzione della razza umana a causa di un germe trasmissibile per via aerea - presenta come primo riferimento temporale l'anno 2012 che nel breve romanzo precede l'anno di diffusione del contagio. Non posso negare che vedere scritta tale scadenza sulla carta da un autore vissuto un secolo prima di noi in qualche modo mi abbia messa in allarme. E lo ha fatto non per la banale "coincidenza" temporale, ma perchè dallo scrittore che ha partorito Il vagabondo delle stelle mi aspetto qualcosa di più che un semplice "scivolone" del caso.  
Sarebbe da sciocchi nella realtà mediatica in cui ci ritroviamo a vivere ignorare i riferimenti quasi quotidiani alla ormai prossima fine del mondo, ai vari calendari Maya, alle profezie nascoste nelle culture di ogni epoca che sembrano indicare una data di scadenza proprio nel fatidico 2012. Riguardo a questo evento è da parecchio tempo che cerco di farmi un'opinione cercando sensati riferimenti sul web, leggendo libri, scartabellando testi sacri di ogni religione per scoprire cosa in questa "favola" mediale vi sia di vero e cosa no.  E in questo balletto dai chiaroscuri indefiniti di recente sono finita ad interessarmi ad un libro di Giorgio Terzoli in cui la lettura degli eventi passati e prossimi è trattata in maniera talmente "scientifica" sulle basi di conoscenze astronomiche (ad es. la precessione degli equinozi)  e  "archeoastronomiche" (come la datazione delle piramidi della piana di Giza) da avermi inquietato non poco. Inquietato ed indotto a riflettere.
Terzoli certo affronta l'argomento in modo asettico, non vi è nulla di "letterario" nel suo modo di esporre i fatti, non vi è traccia di enfasi nei suoi discorsi, se non forse verso la chiusura del libro, in cui non viene risparmiata una dose di necessaria retorica. Ma per la maggior parte del tempo le teorie sono esposte con chiarezza e trasparenza e tra queste saltano subito all'occhio impressionanti analogie tra le culture egizie azteche e indiane riguardo all'origine e alla fine del mondo, analogie che - se fossero arbitrarie - risulterebbero comunque ben costruite e argomentate. Personalmente comunque ritengo vi sia davvero poco di inventato in quello che Terzoli dice a proposito della materia. Ed ecco come si traduce il trait d'union fra due libri, quello di Terzoli e quello di London, a prima vista così distanti fra loro: essi parlano della stessa realtà, l'uno in maniera del tutto scientifica e l'altro in modo visionario-letterario.
Jack London non era uno scrittore qualunque. Figlio illegittimo di un astrologo (e la cosa già qui pare sospetta) ebbe un'adolescenza irrequieta dalle frequentazioni poco raccomandabili. Dopo essersi mescolato a ladri e contrabbandieri opta per la vita raminga e viaggiando per l'America svolge un'interminabile lista di lavori differenti: dal cacciatore di foche al lavandaio, dall'assicuratore al cercatore d'oro. Tutta questa esperienza di vita vissuta contribuirà certamente ad arricchire il suo materiale letterario. Eppure, a mio avviso, c'è più di questo nell'ispirazione dello scrittore americano, qualcosa di più "sottile", quasi esoterico. Esiste il legame con una cultura sotterranea, un sapere nascosto che in modo simbolico egli traduce in letteratura con un linguaggio atto a sviare i sospetti, a non generare curiosità nei riguardi delle sue reali fonti di ispirazione. Ma inoltrandosi nel suo percorso formativo ed esperienziale è difficile rimanere alieni da tali sospetti. Nel 1911, ad esempio, un eminente professore dell'università di Berkeley - Alfred Kroeber - accoglie all'interno dell'università  anni prima frequentata dallo stesso London un indiano della tribù dei Yahi, l'ultimo rappresentante della sua specie. Non parla inglese,  nè spagnolo nè tantomeno un dialetto indiano conosciuto. Sarà solo attraverso l'aiuto di Edward Sapir - il massimo esperto di lingue amerinde dell'epoca - che Kroebber riuscirà a misurarsi con quest'uomo che per ben 5 anni sopravviverà fabbricando frecce e archi e suscitando la curiosità dell'intera America. Ora passiamo alle coincidenze. Sapir pubblica nel 1910 un libro intitolato "Testi della cultura Yana", una raccolta di scritti sacri della cultura amerinda di cui Ishi (tale è il nome dello sconosciuto indiano) è l'ultimo vero esponente. All'interno di questa raccolta esiste un capitolo intitolato : "Bluejay's Journey to the Land of the moon". Nel 1913 Jack London scrive un libro intitolato "The valley of the moon". E nel 1915 pubblica "Il vagabondo delle stelle", un libro incentrato sul concetto di viaggio astrale e reincarnazione in cui compare un personaggio indiano di nome Ushu, un arciere primitivo di cui il protagonista rivive le esperienze durante il primo dei suoi molti viaggi extra corporei. Continuiamo? Il professore che è fulcro della narrazione in "La peste scarlatta" insegna all'università di Berkeley.
Più che di coincidenze io parlerei di segnali e contaminazioni,  veri e propri indizi che conducono a quell'immenso e tuttora insondato bacino che è la cultura amerinda, con la sua vasta tradizione di dei creatori e dispensatori di bene e male, di magia ed esoterismo ai più alti e sconosciuti livelli.
"La peste scarlatta" dunque - a mio avviso - più che un romanzo risulta essere un celato avvertimento, un messaggio oscuro mascherato da visione, come molti dei documenti che sino a noi sono giunti e di cui non sappiamo riconoscere il significato, primo fra tutti "L'Apocalisse" di Giovanni.
Jack London - in linea con molte delle tradizioni antiche - nel suo romanzo non concepisce la fine del mondo come un'esplosione del pianeta o una punizione divina ma come un radicale cambiamento, un'estinzione che diviene sinonimo di sopravvivenza dei più forti e del precipitare verso il basso della società ormai distrutta. Gli uomini superstiti della grande epidemia si risvegliano in un mondo primitivo in cui non sono più dèi ma sono costretti a confrontarsi con la dura realtà della vita, una vita in cui il denaro e i privilegi non significano più nulla e dove la cultura giace dimenticata in virtù del dominio della barbarie e dell'aberrazione.
Non è questo, in fondo, il rischio che nel 2010 riguarda da vicino tutti noi? Non ci si sente stranamente portati a credere che in fondo una simile "fantasticheria" non sarebbe poi così inattuabile, considerato ilmondo in cui viviamo?
Allora se questo è vero, Jack London cos'era? Un narratore o un profeta sacrificato sull'altare dei segreti?
Aspetterò il 1° gennaio del 2013 per rispondere a questa domanda.

Francesca

PS: Libri citati nella recensione:
  • J. London: Il vagabondo delle stelle, ed. Adelphi
  • Edward Sapir: "Yana Text", 1910 - University of California Publications in American Archaeology and Ethnology Vol. 9, No. 1, pp. 1-235
  • Giorgio Terzoli : 2012 - L'ultimo mistero dei Maya, Minerva edizioni

1 commento:

  1. ti ringrazio per il commento non è facile che qualcuno ti capisca complimenti alla tua mente cordialità dott Giorgio Terzoli p.s a natale è pronto il mio portale per acquistare libri virtuali www.speedybbook.it se puoi darmi una mano a pubblicizzarlo ti ringrazio cordiali saluti Giorgio TERZOLI

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