Mogli di minatori - Vincent Van Gogh |
In un immondo eccesso di tristezza mi sono messa a leggere Germinal.
L'ignoranza e la derivante arroganza che essa è capace di partorire come una cattiva madre sempre mi ferisce dunque cerco di fuggirla come la peste.
E dato che il mio stato di amarezza mi impedisce di produrmi in pensieri autonomi riporto alcune parole di Zola che vale la pena tenere a mente:
"Egli si poneva senza chiarezza ogni tipo di domanda: perchè la ricchezza degli uni? perchè la miseria degli altri? perchè questi erano calpestati da quelli, senza la speranza di poter prendere il loro posto? E il suo primo passo fu quello di confessarsi la sua ignoranza. Una vergogna segreta, un dolore nascosto lo presero da quel momento; egli non sapeva niente e non osava più parlare di quelle cose che lo appassionavano, dell'uguaglianza di tutti gli uomini, dell'equità che voleva ugualmente divisi tra loro i beni della terra. Così fu preso da quell'amore per lo studio senza metodo, proprio degli ignoranti assetati di scienza. (...)
Da quando s'accorgeva di pensare, la vergogna della sua ignoranza spariva, e si sentiva invaso da una specie di orgoglio. (...) Man mano che lo spirito si raffinava, si trovava peggio in mezzo alla vita promiscua del villaggio. (...)
Allora Etienne si animava. Come! Si proibisce all'operaio anche di pensare? Eh sì, le cose sarebbero cambiate presto, appunto perchè l'operaio adesso PENSAVA. Ai tempi del vecchio, il minatore viveva nella cava come un bruto, come una macchina per estrarre il carbone, sempre sotto terra, con gli orecchi e gli occhi chiusi agli avvenimenti esterni. Così i ricchi che governavano potevano intendersi, venderlo e comprarlo per rosicchiargli la carne; loro non se ne accorgevano neppure.
Ma ormai il minatore si svegliava; germogliava nel fondo, sepolto sotto terra come un seme vero, e si sarebbe visto un bel giorno che cosa sarebbe spuntato in mezzo ai campi; sì, vi sarebbero nati degli uomini, un'armata di uomini che avrebbe ristabilito la giustizia. Tutti i cittadini non erano forse uguali dopo la Rivoluzione? Poichè ognuno aveva il diritto di dare il suo voto, non c'era ragione che l'operaio dovesse rimaner schiavo del padrone che lo pagava. Oggi le grandi Società con le loro macchine schiacciavano tutto, e non c'erano neanche più contro di loro le garanzie di un tempo, quando gli operai di una stessa arte riuniti in corporazioni sapevano diferndersi. Era per queste ragioni, sacro Dio, e per delle altre ancora, che un giorno, grazie all'istruzione, tutto sarebbe saltato in aria. (...) Ah, cresceva, cresceva a poco a poco, una messe fatale di uomini che si maturava ai raggi del sole!"
"Dal momento che Dio era morto, la giustizia avrebbe assicurato la felicità di tutti gli uomini, instaurando il regno dell'uguaglianza e della fratellanza. Una società nuova cresceva in un giorno, come nei sogni; una città immensa, risplendente come un miraggio, dove ogni cittadino viveva del suo lavoro, prendendo la sua parte delle gioie comuni. Il vecchio mondo, putrido, s'era dileguato in polvere, un'umanità giovane, monda di tutti i delitti, non formava più che un solo popolo di lavoratori che avevano per motto: "Ad ognuno secondo i suoi meriti, e ad ogni merito, secondo le sue opere."
Non ci sono parole sensate da aggiungere a quelle scritte da Zola, se non quelle che parlano di una profonda vergogna. Questo libro, che promuove la lotta a favore della cultura e dell'uguaglianza tra i popoli al fine di migliorare lo status delle classi sociali più misere, è stato scritto nel 1885. Dio mio! Quale peso pensare di vivere nel 2010 e sentirsi tanto lontani da una società che fondi i propri capisaldi su tali principi!
Forse i corsi e ricorsi storici hanno condannato la nostra gente, il nostro tempo ad un nuovo medioevo.
Eppure non riesco a togliermi dalla mente l'idea che persino nel medioevo alcune verità fossero indiscutibili. Si viveva nella fame e nella miseria o nella ostentata ricchezza o all'ombra del potere ecclesiastico ma alcuni confini rimanevano tali, alcuni capisaldi reggevano a discapito di qualsiasi rovescio politico e religioso.
O forse no. Forse è solo la mia disperazione, la speranza ormai morta verso le sorti del mio paese che mi fa parlare in questo modo. Forse è solo l'annichilimento derivante dal dilagante qualunquismo e dalla insanabile corruzione dei costumi a farmi sentire una isolata foglia scossa dalle tempeste delle vita.
Ebbene sì, oggi in me la speranza non sopravvive perchè la stoltezza delle "umane genti" è stata in grado di strapparla via, come un fiore delicato dalla terra.
Ma - in fondo - oggi fa storia a sè.
Dopotutto - diceva qualcuno - domani è un altro giorno.
Buona serata a tutti
Francesca
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