Avrei dovuto presentare la recensione sul libro di Sàndor Marai "Divorzio a Buda" almeno due giorni fa.
Ma come si fa a scrivere di un libro che non è piaciuto?
Difficile.
Quindi sarò breve.
La narrazione fin dall'inizio mi è parsa stentata, quasi come se l'autore avesse bene in mente il contenuto da esporre ma non riuscisse a mettere a fuoco dentro di sè il modo in cui farlo. Il romanzo così diviene una sorta di continua e casuale esplosione di bolle al cui interno è contenuta una vicenda che riguarda i vari personaggi del libro: tali "esplosioni" hanno come effetto quello di rendere le storie slegate l'una dall'altra e messe sulla carta un po' a casaccio, quasi che l'autore le abbia inserite nel romanzo per "allungare il brodo".
E poi in apertura del capitolo 10 c'è una citazione musicale così evidentemente scontata da avermi irritato non poco! Poteva davvero sforzarsi a trovare di meglio. Certo, il dubbio che la banalità estrinsecata attraverso una citazione simile fosse un rispecchiamento del carattere del profilo letterario trattato in quel mentre mi è venuto. Ma è un dubbio che comunque è durato molto poco.
Per sintetizzare, la caratterizzazione dei personaggi e delle loro vicende risulta confusa e il lettore si smarrisce nella selva dell'intreccio narrativo di per sè debole non avendo la più pallida idea di dove lo scrittore voglia condurre la trama e quale sia il baricentro strutturale e narrativo. Si ha inoltre la percezione che di per sè il valore contenutistico del romanzo abbia un suo senso logico ma che gli argomenti - trattati con eccessiva confusione - non lascino altra traccia in chi legge se non un costante senso di smarrimento.
Ero dunque rassegnata a "zoppicare" di pagina in pagina fino alla fine del romanzo quando venni folgorata sulla via di Damasco. Dal 13° capitolo in poi tutto cambia. La coesione, la precisione ritmica, la stupenda organicità dell'espressione e dell'evoluzione della trama fanno addirittura pensare ad un'altra mano, tanto è radicale la metamorfosi. Da quel momento in poi il libro acquisisce ali proprie e si legge tutto d'un fiato. E' un monologo continuo, serrato, dolente. Un monologo che avviene in una stanza di cui quasi possiamo percepire i colori e gli odori tanto è nitida la sua descrizione, talmente forti sono i dettagli dipinti sapientemente da Marai. Personalmente credo che questo "miracolo" avvenga in quelle pagine perchè l'autore finalmente giunge al nocciolo della storia, la sua narrazione coincide con ciò di cui egli realmente voleva parlare nel romanzo e che tutto ciò che era accaduto prima di quel momento fosse soltanto un preambolo - forse mal costruito - che preparava maldestramente il terreno a quella superba fioritura narrativa.
Dunque è un libro controverso "Divorzio a Buda", un libro su cui non posso esprimere un definitivo giudizio perchè tale giudizio risulterebbe dicotomico, schizofrenico. E' di certo un testo "moderno" che tratta i problemi coniugali - e sociali - con una tale profetica prospettiva che leggendolo si ha quasi la sensazione di veder ritratti in esso le contraddizioni e le stranezze proprie del nostro tempo. A questo proposito vi lascio con un pensiero che mi ha particolarmente colpito all'interno del capitolo 14:
"Vivo in un'epoca in cui ogni apprendista fabbro sogna di battere un record; nel campo di gara e in ospedale, nella politica e nel laboratorio chimico, dietro ogni cosa si sente il ticchettio del cronometro, qualcuno o qualcosa controlla i risultati, tutto è sempre più artificiosamente convulso, angosciosamente esagerato... può essere che l'amore sia carico di questa ansia, di questa ambizione, di questo anomalo e tormentoso fine, e non più un idillio, bensì una specie di competizione?"
Francesca
Di sicuro Divorzio a Buda non è trainante come Le Braci. Soprattutto non è altrettanto misterioso. Ma concordo con te che, malgrado la lentezza ( o la stentatezza) con cui si delinea il profilo finale, il contesto psicologico ne salva la bellezza e , perchè no? anche il riconoscersi personale nell'atmosfera evocata, fa la sua parte.
RispondiEliminaUn pensiero affettuoso.
Marisa D'Agostino