lunedì 31 gennaio 2011

Con parole altrui



"Rimpiango di aver litigato con papà all'epoca solo in quanto non l'ho fatto dieci anni prima. (...)
Visto che cerco di distinguere tra gli ideali astratti del bene e le mie imperfezioni, malgrado tutto non me ne vengo fuori con paroloni, ma dico semplicemente: la maniera di restare amici è separarsi. E' cosa dura a dirsi - ma mi dà un senso di pace. (...)
Troverò un nuovo campo d'azione, in cui potrò fare tutto quel che mi venga in mente di fare, da estraneo tra estranei; lontano non avrò nè diritti nè doveri. L'accettare supinamente tutto è qualcosa che brucia in seguito - di conseguenza si rende necessaria l'azione.
Tuttavia, conosci le mie ragioni - se dovessi andare avanti, diverresti un secondo papà nella mia vita, e benchè io sappia che le tue intenzioni sono buone, non mi comprenderesti per nulla e quindi risulta impossibile fare dei progressi."

Vincent Van Gogh - Lettera a Theo
Neunen, fine febbraio 1884.

domenica 30 gennaio 2011

Spirali infedeli



Quando gli amici ti deludono la prima domanda che sorge dal cuore è chiedersi se siano davvero amici.
Poi se valga la pena soffrire a causa della altrui incapacità di comprendere.
E infine se non convenga tenere per sè medesimi i propri segreti.
Stasera non so rispondere a nessuna di queste domande.
Mi auguro solo che la prossima volta che aprirò le finestre dell'anima chi si troverà dall'altra parte saprà guardare con maggior sensibilità senza esser tanto incurante del mio gesto, senza umiliarmi con la sua implacabile indifferenza.
La speranza coincide con questo semplice concetto:
concedere al prossimo - nonostante il proprio passato -
sempre e comunque il beneficio del dubbio.
Ma stasera no, stasera proprio non concedo nulla a nessuno.
Solo Bill Evans per il mio cuore stanco.
Buonanotte

Francesca


La spada e l'onore



Sono stufa di aprire una qualunque pagina di internet o di un quotidiano e di veder spiattellata una forma vana e disgregata di feminilità. Sono stufa che il mio operato, la mia immagine, la mia figura siano anche solo per un nanosecondo paragonate - pur inconsciamente - e accomunate a quelle di persone che hanno fatto del proprio sesso una bandiera oscena, per sè e per le proprie simili. Sono stanca di dovermi difendere dagli sguardi ammiccanti di uomini diseducati al rispetto che vedono nei miei occhi o nella totalità del mio corpo un mezzo per soddisfare bisogni primordiali  "a scopo di lucro", certi di poter dominare la mia vita attraverso piccoli o grandi favori post coito, sia esso fisico o esclusivamente mentale.
Per questo, per rammentare a noi tutti il vero significato dell'essere femminile - di tanto in tanto - pubblicherò nel blog la biografia di donne celebri nella storia che hanno cambiato il corso degli eventi non certo grazie a serate in discoteca ma per merito dei loro principi, della loro fede, della loro cultura, di un impegno mai venuto meno.
E in un momento tanto disastrato per il nostro paese, in cui le menti sbandano alla ricerca di risposte e di barche di salvataggio esistenziali, credo che non potrei trovare migliore bandiera ideologica che quella rappresentata dalla vita di Giovanna d'Arco.
Spero che da ora in poi, dopo aver demolito, umiliato, offeso, mercificato e prostituito, si ricomincerà a valutare la donna per quello che è, un essere umano dotato di splendide qualità AL PARI DELL'UOMO, nè più nè meno. Troveremo nelle schiere femminili la stupidità, l'ignoranza, la grettezza ma anche la gentilezza, la superiorità morale, il sapere esattamente come accade all'interno del mondo maschile.
La parità dei sessi, a 40 anni dal '68, è stata spazzata via.
Le donne hanno la possibilità certo di andare in giro in minigonna ma il pregiudizio che - comportandosi così - debbano per forza essere incapaci e tendenzialmente meretrici permane.
La libertà vera sta nell'essere intimamente ed esteriormente ciò che si è, senza dover temere per questo di essere fraintesi.
Buona lettura a tutti.

Contro la stupidità, neanche gli dei possono lottare.”
[Friedrich von Schiller - "Giovanna d'Arco", Atto III, Scena 6]


BIOGRAFIA BREVE

Giovanna d'Arco, in francese Jeanne d'Arc, o Jehanne Darc nella versione più arcaica (Domrémy-la-Pucelle, 6 gennaio 1412Rouen, 30 maggio 1431), eroina nazionale francese, oggi conosciuta come la Pulzella d'Orléans. Riunificò il proprio Paese contribuendo a risollevarne le sorti durante la guerra dei cent'anni, guidando vittoriosamente le armate francesi contro quelle inglesi. Catturata dai Borgognoni davanti Compiègne, Giovanna fu venduta agli inglesi che la sottoposero ad un processo per eresia, al termine del quale, il 30 maggio 1431, fu condannata al rogo ed arsa viva. Nel 1456 papa Callisto III, al termine di una seconda inchiesta, dichiarò la nullità di tale processo. Beatificata nel 1909 da Papa Pio X e canonizzata nel 1920 da Benedetto XV, Giovanna venne dichiarata patrona di Francia.

Aneddoto
La battaglia di Patay -avvenuta nel 1429 - fu un modo per Giovanna di confrontarsi, ancora una volta, con la dura realtà della guerra; se era solita pregare per i soldati caduti da entrambe le parti, se aveva pianto ad Orléans nel vedere tanta violenza, qui, dopo una vittoria in campo aperto, vedeva i suoi soldati (peraltro non più trattenuti dalla guida del Bastardo d'Orléans, che aveva fatto regnare la disciplina ferrea imposta dalla Pulzella nell'esercito, ma affidati al comando del Duca D'Alençon) abbandonarsi ad ogni brutalità. Dinanzi ad un prigioniero inglese colpito con tale violenza da stramazzare al suolo Giovanna scese da cavallo e lo tenne tra le braccia, consolandolo ed aiutandolo a confessarsi, sino a che la morte non sopraggiunse per quel nemico che le aveva mostrato tutta la sua debolezza ed umanità.

Eredità
In realtà, Giovanna lasciava un'eredità ideale e spirituale non da poco; in un mondo di violenze e sopraffazioni aveva dimostrato, seguendo i propri convincimenti religiosi, che era possibile riportare la pietà e la giustizia in un ambiente che le aveva dimenticate da molto. Sia al suo arrivo ad Orléans, sia alla formazione dell'esercito "della Consacrazione", Giovanna aveva imposto ai combattenti di astenersi dal saccheggiare e taglieggiare le popolazioni (talvolta le stesse che nominalmente avrebbero dovuto difendere), proibito di uccidere nemici e prigionieri dai quali non si sarebbe potuto trarre riscatto, cercato instancabilmente una "buona pace stabile" con i nemici sia inglesi sia borgognoni senza stancarsi d'inviare loro lettere in cui li invitava a deporre le armi sulla base del semplice amore cristiano; aveva galvanizzato il popolo a tal punto che i più umili contadini così come i nobili si sentivano parte integrante di una sola nazione. Questa eredità non andrà perduta con il suo supplizio. Ciò che in Giovanna era frutto della fede, del dialogo con le sue Voci, continuerà a vivere negli ideali di un popolo: l'idea di un'identità nazionale francese sarà presente e centrale sino ai giorni nostri; il suo slancio verso una forma di guerra che, pur nella violenza, risparmiasse i civili e non fosse condotta da capitani di ventura, che sin troppo spesso si tramutavano in briganti, ma da ufficiali della corona, porteranno sia alla formazione di un esercito nazionale permanente, sia ai primi rudimenti del diritto di guerra. Questo avverrà soprattutto con la promulgazione da parte di Carlo VII dell'«Ordinanza d'Orléans» del 1439 (che riprendeva la precedente Ordinanza del 1374, emanata da Carlo V), in cui si sanciva "il diritto delle genti, uguale per tutti, d'essere rispettati nella propria vita e nei propri beni", il divieto di servirsi di bande di mercenari senza che questi non rispondessero direttamente alla corona, la responsabilità dei capitani per ogni danno arrecato alla popolazione civile.

Processo
Il processo a Giovanna ebbe inizio formalmente il 3 gennaio 1431, con atto scritto; il 9 gennaio 1431, Pietro Cauchon, vescovo di Beauvais, ottenuta la giurisdizione su Rouen (allora sede arcivescovile vacante), iniziò la procedura ridefinendo il processo stesso, iniziato in un primo tempo "per stregoneria", in uno "per eresia"; conferì infine l'incarico di "procuratore", sorta di pubblico accusatore, a Jean d'Estivet, canonico di Beauveais che lo aveva seguito a Rouen[20]. La prima udienza si tenne pubblicamente il 21 febbraio 1431 nella cappella del Castello di Rouen. La carcerazione non aveva fiaccato lo spirito di Giovanna; sin dal principio delle udienze, richiesta di giurare su qualsiasi domanda, ella pretese - ed ottenne - di limitare il proprio impegno a quanto concernesse la fede. Inoltre, alla domanda di Cauchon di recitare il Padre Nostro rispose che lo avrebbe certamente fatto ma solo in confessione, modo sottile per ricordargli la sua veste di ecclesiastico.
L'interrogatorio di Giovanna si svolse in maniera convulsa, sia perché l'imputata era interrotta continuamente, sia perché alcuni segretari inglesi ne trascrivevano le parole omettendo tutto ciò che fosse a lei favorevole, cosa di cui il notaio Guillame Manchon si lamentò minacciando di astenersi dal presenziare ulteriormente; dal giorno seguente Giovanna fu così sentita in una sala del castello sorvegliata da due guardie inglesi[31]. Durante la seconda udienza, Giovanna fu interrogata per sommi capi sulla sua vita religiosa, sulle apparizioni, sulle Voci, sugli accadimenti occorsi a Vaucouleurs, sull'assalto a Parigi in un giorno in cui cadeva una solennità religiosa; a questo la Pulzella rispose che l'assalto avvenne per iniziativa dei capitani di guerra, mentre le Voci le avevano consigliato di non spingersi oltre Saint-Denis. Questione non trascurabile posta quel giorno, sebbene in un primo momento passata quasi inosservata, il motivo per cui la ragazza indossasse abiti maschili; alla risposta suggeritale da quelli stessi che la stavano interrogando (ossia se fosse stato un consiglio di Robert de Baudricourt, capitano di Vaucouleurs), Giovanna, intuendo la gravità di un'asserzione simile, rispose: "Non farò ricadere su altri una responsabilità così pesante!". Quel giorno Cauchon, forse toccato dalla richiesta della prigioniera del giorno precedente di essere udita in confessione, non la interrogò personalmente, limitandosi a chiederle, ancora una volta, di prestare giuramento..
Durante la terza udienza pubblica, Giovanna rispose con una vivacità inattesa in una prigioniera, arrivando ad ammonire il suo giudice, Cauchon, per la salvezza della sua anima. La trascrizione dei verbali rivela anche una vena umoristica inaspettata che la ragazza possedeva nonostante il processo; alla domanda se avesse avuto rivelazione che sarebbe riuscita ad evadere dalla prigione, rispose: "E io dovrei venire a dirvelo?"
L'interrogatorio successivo, sull'infanzia di Giovanna, i suoi giochi di bambina, l'Albero delle Fate, intorno al quale i bambini giocavano, danzavano ed intrecciavano ghirlande, non portò nulla di rilevante per gli esiti processuali, né fece cadere Giovanna in affermazioni che potessero renderla sospetta di stregoneria, come forse era negli intenti dei suoi accusatori. Di notevole rilevanza, invece, la presenza, tra gli assessori della giuria, di Nicolas Loiseleur, un prete che si era finto prigioniero ed aveva ascoltato Giovanna in confessione, mentre, come riferito sotto giuramento da Guillame Manchon, diversi testimoni ascoltavano nascostamente la conversazione, in aperta violazione delle norme ecclesiastiche.
Nelle tre udienze pubbliche successive si accentuò il divario di prospettiva tra i giudici e Giovanna; mentre i primi si accanivano con sempre maggiore tenacia sul motivo per cui Giovanna portasse abiti maschili, la ragazza sembrava a suo agio parlando delle sue Voci, che indicò provenire dall'Arcangelo Michele, Santa Caterina e Santa Margherita, differenza evidente nella risposta data circa la luminosità della sala in cui aveva incontrato per la prima volta il Delfino: "cinquanta torce, senza contare la luce spirituale!". Ed ancora, nonostante la prigionia e la pressione del processo, la ragazza non rinunciava a risposte ironiche; ad un giudice che le aveva domandato se l'Arcangelo Michele le fosse apparso nudo, Giovanna rispose: "Credete che Nostro Signore non abbia di che vestirlo?".

Abiura
L'atto che Giovanna aveva firmato non era più lungo di otto righe, nelle quali s'impegnava a non riprendere le armi, né portare abito d'uomo, né capelli corti, mentre agli atti venne messo un documento di abiura di quarantaquattro righe in latino. La sentenza emessa era comunque durissima: Giovanna era condannata alla carcerazione a vita nelle prigioni ecclesiastiche, a "pane di dolore" ed "acqua di tristezza". Nondimeno, la ragazza sarebbe stata sorvegliata da donne, non più costretta da ferri giorno e notte, libera dal tormento dei continui interrogatori; quale dovette essere la sua sorpresa quando udì le parole di Cauchon che ordinava: "Conducetela là dove l'avete presa."[20] Questa violazione delle norme ecclesiastiche fu con ogni probabilità voluta dallo stesso Cauchon per un fine preciso, indurre Giovanna ad indossare nuovamente l'abito da uomo per difendersi dai soprusi dei soldati.
Gli inglesi, tuttavia, persuasi che ormai Giovanna fosse sfuggita loro di mano, poco avvezzi alle procedure dell'Inquisizione, esplosero in un tumulto e in un lancio di sassi contro lo stesso Cauchon. Infatti solamente i relapsi, ossia coloro che, avendo già abiurato, ricadevano in errore, erano destinati al rogo.
Nuovamente in carcere, Giovanna divenne oggetto di una collera ancora maggiore da parte dei suoi carcerieri; il domenicano Martin Ladvenu riporta che Giovanna gli riferì di un tentativo di violentarla da parte di un inglese, che, non riuscendovi, la percosse con ferocia.
La mattina di domenica 27 maggio, Giovanna chiese di alzarsi ed un soldato inglese le sottrasse gli abiti da donna e le gettò quelli maschili; nonostante le proteste della Pulzella, non gliene vennero concessi altri. A mezzogiorno, Giovanna fu costretta a cedere. Cauchon ed il viceinquisitore Lemaistre, insieme ad alcuni assessori, si recarono il giorno seguente alla prigione. Giovanna affermò coraggiosamente di aver ripreso l'abito maschile di propria iniziativa, poiché si trovava tra uomini e non in una prigione ecclesiastica come suo diritto, sorvegliata da donne, ove poter sentir messa; interrogata ancora, ribadì di credere fermamente che le Voci che le apparivano erano quelle di Santa Caterina e di Santa Margherita, di essere inviata da Dio, di non aver capito una sola parola dell'atto di abiura, ed aggiunse "Dio mi ha mandato a dire per bocca di santa Caterina e santa Margherita quale miserabile tradimento ho commesso accettando di ritrattare tutto per paura della morte; mi ha fatto capire che, volendo salvarmi, stavo per dannarmi l'anima!" ed ancora:"Preferisco fare penitenza in una sola volta e morire piuttosto che sopportare più a lungo la sofferenza di questa prigione".
Il 29 maggio Cauchon riunì per l'ultima volta il tribunale per decidere la sorte di Giovanna. Su quarantadue assessori, trentanove dichiararono che fosse necessario leggerle nuovamente l'abiura formale e proporle la "Parola di Dio". Il loro potere, però, era solo consultivo. Pietro Cauchon e Jean Lemaistre condannarono Giovanna al rogo.

Supplizio
Il 30 maggio 1431 entrarono nella cella di Giovanna due frati domenicani, Jean Toutmouillé e Martin Ladvenu; quest'ultimo la ascoltò in confessione e le comunicò quale sorte era stata decretata per lei quel giorno; nella sua ultima lamentazione, la Pulzella, vedendo entrare il vescovo Cauchon esclamò: "Vescovo, muoio per causa vostra". In seguito, quando questi si fu allontanato, Giovanna chiese di ricevere l'eucaristia. Fra Martin Ladvenu non seppe che cosa risponderle, poiché non era possibile ad un eretico comunicarsi e chiese allo stesso Cauchon come dovesse comportarsi; sorprendentemente, ed in violazione, ancora una volta, di ogni norma ecclesiastica, questi rispose di somministrarle l'eucaristia.
Giovanna fu condotta nella piazza del Mercato Vecchio di Rouen e fu data lettura della sentenza ecclesiastica. Successivamente, senza che il balivo o il suo luogotenente prendessero in custodia la prigioniera, fu abbandonata nelle mani del boia, Geoffroy Thérage, e condotta dove il legno era già pronto, di fronte a una folla numerosa riunitasi per l'occasione
Vestita di un lungo abito bianco e scortata da circa duecento soldati, salì sino al palo dove fu incatenata, sopra una gran quantità di legna. In tal modo, non c'era possibilità per il boia di abbreviare il supplizio della condannata, facendole perdere i sensi per l'impossibilità di respirare e facendo poi bruciare il corpo già morto. Sarebbe dovuta ardere viva.
Giovanna, caduta in ginocchio, invocava Dio, la Vergine, l'Arcangelo Michele, Santa Caterina e Santa Margherita; domandava ed offriva perdono a tutti. Chiese una croce ed un soldato inglese, impietosito, prese due rami secchi e li legò a formarne una, che la ragazza strinse al petto; Isambart de La Pierre corse a prendere la croce astile della chiesa e gliela pose dinanzi; infine, i soldati strattonarono il boia e gli ordinarono: "fa' ciò che devi". Il fuoco salì veloce e Giovanna chiese dapprima dell'acqua benedetta, poi, investita dalle fiamme, nel dolore atroce, gridò a gran voce: "Gesù!".
Così morì Giovanna la Pulzella, a soli diciannove anni.

PS: Ringrazio Wikipedia per le informazioni su Giovanna d'Arco.














 

sabato 29 gennaio 2011

Equilibrio in dissolvenza


Di tanto in tanto mi riscopro idiota.
Certo, magari teneramente.
Ma sempre idiota.
Questo però, a ben rifletterci, è il plus valore della mia vita.
L'empatia che alla fine della fiera si ritorce sempre a mio danno.
Eppure dall'empatia rovesciata ho imparato molto, così come molto ho imparato dal dolore da essa derivante.
A forza di spremere rape ne ho avuto le mani consumate.
Ma di contro le mia braccia son diventate robuste e gli occhi usi alle lacrime, senza troppi drammi.
La bilancia è sempre in equilibrio, quantunque siano grandi gli sforzi da noi mortali compiuti per mandare a monte il suo lavoro.

Francesca



L'epifania di Mrs Dalloway


Mucha - Dance (1898)

Amo senza riserve la scrittura di Virginia Woolf, pur non condividendola.
Non riuscirei mai a far scorrere  i ragionamenti da un soggetto a quello subito seguente con la fluidità che la contraddistingue. Ne proverei un senso di disagio, di vacuità, quasi mi fossi persa all'interno del mio stesso scritto.
E questa - in effetti - è la sensazione che predomina pur durante la lettura.
Ci si vorrebbe disperatamente aggrappare ad un qualsiasi appiglio - la chiusa di un capitolo, un numero scritto ineluttabilmente ad inizio pagina - mentre invece si è costretti a vagare come una nave tra i marosi, sballottati dalla corrente.
Virginia è come l'oceano: ti conduce ove desidera secondo il suo ritmo e la sua implacabile volontà.
E opporre resistenza in simili condizioni risulta sempre vano, come tentare d'issare una vela durante una tempesta.
Ci si deve piuttosto abbandonare al flusso, pregare di essere risparmiati dalla furia del vento e di aver salva la vita.
Nulla più.
In tutto ciò si avverte come una musica in sottofondo la sua folle ammirazione per l'opera di Proust. E la sua scrittura, il suo fraseggiare continuo fatto di contrappunti linguistici superbamente costruiti e concatenati l'uno all'altro è un evidente omaggio all'autore della Recherche, quasi un'offerta palpitante da parte di una donna segretamente innamorata di un mentore lontano, inconoscibile, irraggiungibile.
A proposito del Tempo Perduto ella scrive nel medesimo anno (1925) in cui stende Mrs Dalloway :
"La mente di Proust è aperta con la comprensione di un poeta e il distacco di uno scienziato a tutto quanto essa ha il potere di sentire. La direzione o l'enfasi, il sentirsi dire che questo è giusto, il sentirsi dare nel gomito e ordinare di badare a quest'altro, cadrebbero come un'ombra su questa intensa luminosità e ce ne escluderebbe qualche porzione dalla vista. Il materiale comune del libro è fatto di questa profonda riserva di percezioni. E' da queste profondità che i suoi personaggi sorgono, come onde in formazione, e quindi si rompono e riaffondano nel mai immobile mare di pensiero e commento e analisi che ha dato loro i natali."

In Mrs Dalloway la Woolf riesce ad alternare, come una marea lunatica, costrutti e sensazioni, oggettività e follia, precipitando il lettore da uno stato all'altro senza che questi abbia nè il tempo per accorgersene nè modo di ritrarsi per guardare, osservare dall'alto - imparziale - ciò che accade ai personaggi coinvolti nella vicenda. E' come se colui che legge fosse trattato alla stregua di qualsiasi carattere descritto all'interno del romanzo stesso e fosse immerso nel medesimo pantano, presenza invisibile eppur indispensabile al motore degli eventi. Quasi che il suo osservare, il suo vivere la storia ne influenzasse il corso, inesorabilmente.
Una delle scene che in tal senso mi ha colpito maggiormente è stata quella del suicidio del giovane Septimius.
Virginia scrive:
"Era solo, con la credenza e le banane. Era solo, esposto alle intemperie, su quella brutta altura, lungo disteso..."
E' vero, in quel mentre Septimius resta solo nella stanza mentre la moglie corre incontro al dottore, ma invero pare che la sua coscienza sappia che qualcuno lo sta osservando nella sua solitudine o che questo fosse in effetti il suo estremo desiderio. E come un attore consumato che recita il suo bravo soliloquio davanti al pubblico decide il modo più eloquente e al contempo meno squallido per uscire di scena, rimarcando alla platea che "La vita è bella. Il sole riscalda. Ma gli esseri umani..."
Qui è Virginia che parla, indubbiamente. Septimius è solo un tramite, un portavoce anche goffo, a ben vedere. Ma lei è scaltra, acuminata, disperatamente intrisa del malessere del suo personaggio e per questo dura quanto basta per farci sentire inadeguati alle sue altezze e al suo dolore: "Non appena cadi la natura umana ti salta addosso."
Ma dato che Virginia poteva godere non di una ma di molte personalità al contempo - come la maggior parte di coloro che soffrivano dei suoi disturbi - poche pagine prima la ammiriamo mentre, strenuamente inabissata nella coscienza di un personaggio del tutto diverso, ci offre una densa e partecipata descrizione della ricchezza d'animo umana, con la quale vi auguro la buonanotte:
"Tali sono codeste visioni che incessantemente affiorano, camminano accanto, si pongono di fronte alla realta'; spesso sopraffacendo il viandante solitario e privandolo del senso della terra, togliendogli la voglia di tornare, donandogli in cambio una pace assoluta, come se tutta questa febbre di vita fosse la semplicita' in persona; e miriadi di cose si fondessero in una; e quella figura spettrale, fatta di cielo e rami, fosse sorta dal mare in tempesta come una figura puo' sorgere dai flutti per lasciar piovere, dalle proprie magnifiche mani, compassione, comprensione, assoluzione."
Francesca

mercoledì 26 gennaio 2011

Emersione



Che colore hanno i sogni quando si realizzano?
Forse sono trasparenti come vetro, affinchè con lo sguardo
si possa guardar loro attraverso e andare oltre.
Negli ultimi giorni ho pareggiato più di un conto col passato,
con le speranze coltivate apparentemente invano per anni.
E per questo non mi sento certo diversa ora.
Solo coincido perfettamente con l'idea che avevo di me allora.
La Ghianda si è schiusa e il seme è penetrato nella terra.
Il Destino è un amante certo bizzarro e umorale ma mantiene sempre
le Sue promesse.

Francesca

sabato 22 gennaio 2011

E quindi uscimmo a riveder le stelle

Dedicato a F. e B.



Nutrirsi di Bellezza
è l'eterno compito di Colui
che non vuol morir d'inedia.
Francesca


“ Gli uomini non hanno più tempo
per conoscere nulla.
Comprano dai mercati le cose già fatte.
Ma siccome non esistono mercati di amici,
gli uomini non hanno più amici.
Se tu vuoi un amico addomesticami”.

A. de Saint-Exupèry
"Il Piccolo Principe"


lunedì 17 gennaio 2011

Mari del sud


Quando il Leviatano fa mostra di sè l'animo tace, sospeso nel tempo e nella volontà.
Nel tumulto che si appresta irrimediabile si afferra l'eco di una voce lontana, di una stella ormai morta la cui luce continua tuttavia a brillare attraverso gli spazi siderali.
Oggi sono dunque arresa al mio Visconte dimezzato, a quel sentire denso che fa captare sia la natura selvaggia dell'imponderabile che il silenzioso tremore nascosto tra le pagine della resa.
Non so ben ridire dove approderò, se il Leviatano mi lascerà una via di fuga o farà affiorare dagli abissi marini un gorgo in cui precipitare il mio vascello ligneo, dal carico tanto pesante.
Ciò che so è che continuerò a navigare, pur in vista della tempesta, reggendomi con forza al timone, ammainando le vele più a rischio e chiudendo a chiave la stiva.
A tempesta finita si vedrà.

Francesca


domenica 16 gennaio 2011

Scomode Verità



Oggi non mi servono parole.
Userò quelle di Giobbe Covatta.
Spero che lui non se ne avrà a male.
Perchè la "demagogia" è solo un modo per descrivere quella Verità che ormai nessuno vuole più ascoltare.
Buona domenica a tutti.

Francesca

venerdì 14 gennaio 2011

Stelle e precipizi



Stasera nuoto in una crisalide di malinconia.
Il caffè poggiato sul tavolino di vetro, ingombro di libri e ditate.
Una gomma a forma di Ramesse II, acquistata al museo Egizio di Torino l'estate scorsa, trionfa nella dardeggiante immobilità.
E una luce diafana illumina le tende color porpora della camera, mentre dalla stanza accanto giunge la voce sommessa della tv ancora accesa.
Non ho pensieri al momento ma lividi, contusioni cerebrali che si espandono lente, con una nitidezza da radiografia ospedaliera.
La notte sa essere carica di insidie, se non le carezzi l'anima.
Ecco, ora dovrei mettere a tacere il senso di colpa che arriva da chissà dove e chissà perchè, trovare in qualche scatola cinese la forza di vestirmi e partire per qualche destinazione sconosciuta, alla ricerca di volti nuovi eppure noti, di morbidi alisei, di mari selvaggi.
Questo mondo è diventato troppo piccolo per chi volesse ancora godere di quell'arcano senso di attrazione per il mistero così vivo e pulsante nelle vene dei viaggiatori d'un tempo ormai remoto.
Non mi rimane dunque che alzare lo sguardo e puntare alle stelle.
Lì di spazio ce n'è ancora in abbondanza per tutti.

Buonanotte
Francesca

mercoledì 12 gennaio 2011

Dimenticanze


 
Déjeuner du matin

Il a mis le café
Dans la tasse
Il a mis le lait
Dans la tasse de café
Il a mis le sucre
Dans le café au lait
Avec la petite cuiller
Il a tourné
Il a bu le café au lait
Et il a reposé la tasse
Sans me parler
Il a allumé
Une cigarette
Il a fait des ronds
Avec la fumée
Il a mis les cendres
Dans le cendrier
Sans me parler
Sans me regarder
Il s'est levé
Il a mis
Son chapeau sur sa tête
Il a mis son manteau de pluie
Parce qu'il pleuvait
Et il est parti
Sous la pluie
Sans une parole
Sans me regarder
Et moi j'ai pris
Ma tête dans ma main
Et j'ai pleuré

J. Prévert


Stasera languo e le polemiche non fanno più per me.
Mi gusto la malinconia e il suono dolce del silenzio.
In fondo va bene così.
Francesca

sabato 8 gennaio 2011

Impudenze di provincia





Qualche giorno fa postai un articolo dal titolo "Nidi molesti".


Un lettore, probabilmente qualcuno che mi conosce nella realtà, ha scritto il seguente commmento a tale articolo, avvalendosi della facoltà dell'anonimato, per colpire e non essere colpito.


La cosa mi è sembrata interessante e in tema con gli ultimi argomenti trattati.

Così ho deciso di far diventare il suo commento e la mia successiva risposta un post a sè stante.
Buona lettura!


Anonimo ha detto...

 

Cara Francesca,
il rapporto genitori-figli è un grnde mistero soprattutto quando si ha la sorte di essere figli unici. Fa parte del processo di maturazione e del divenire adulti far evolvere questo rapporto e trascenderlo in una relazione equilibrata. Probabilmente questo processo, con dolore e tutto il resto, per te non si è ancora compiuto, leggendo tra le righe la sofferenza che hai vissuto. Ma non è giudicando la parabola esistenziale dei tuoi genitori che sradicherai questo dissidio. Come reazione alle tue parole, corro a ringraziare i miei vecchi, prima di tutto per avermi dato la Vita e di avere avuto il coraggio di difenderla, quando non ero in grado di poterlo fare da solo. Questa è la cosa importante, tutto il resto non è che il transeunte dell'esistenza. Vuoi il plauso della scelta di libertà radicale? Avresti dovuto compierla tanti anni fa e non sulla soglia della trentina, come invece è accaduto. Dal mio punto di vista è troppo semplice rinnegare o giudicare "baggianata" una dimensione, quella famigliare, che invece determina fortemente la propria identità. Come dici tu, ci vuole coraggio. Penso anche che la principale destinataria di questo post sia tu stessa e quello che scrivi ti serva da obiettivo da raggiungere. Buon 2011!
P.S. Mi riservo l'anonimato, perchè la mia identità non ha senso in questo blog, non te la prendere. Immaginami come una specie di mago Merlino....


 
Francesca Giordanino ha detto......



Gentile Anonimo,

avrei una serie di punti da chiarire. Li tratterò in sequenza seguendo la Sua esposizione nel commento di cui sopra.

Punto 1: Lei come fa a sapere che io sono figlia unica.
Punto 2: con quale diritto e soprattutto presunzione Lei pontifica su una materia che non conosce affatto, ossia il mio rapporto con la famiglia.
Punto 3: nel mio post non ho mai giudicato nemmeno una volta la "parabola esistenziale" dei miei genitori. Ho solo esposto le mie scelte, che sono mie, mi appartengono e nelle quali nessuno può avere voce in capitolo, a parte la sottoscritta, men che meno un volto presumibilmente del mio passato che si cela dietro un paravento comodo e costruito ad hoc per parare gli strali di un'eventuale "contromossa".
Punto 4: cosa Le fa pensare che dato che i Suoi genitori hanno difeso la Sua vita, lo stesso sia capitato a me? Mi scusi l'ardire, ma come avvocato Lei sarebbe valso davvero a poco, e avrebbe con ogni probabilità difeso il candidato sbagliato.
Punto 5: io non sono affatto sulla soglia della trentina e soprattutto, nessuno nasce "imparato". La consapevolezza si acquista strada facendo. Mi complimento per la Sua arguzia, perspicacia nonchè straordinaria precocità infantile se per Lei sono valse regole differenti.
Punto 6: chi ha mai detto di avere bisogno del plauso di qualcuno? Io ho semplicemente esposto il mio punto di vista. Può essere condivisibile o meno. Di certo però non può essere messa in discussione la mia scelta basandosi su fatti presunti e - guarda caso - totalmente sbagliati.
Punto 7: la destinataria del blog sono sempre io, oltrechè tutti coloro che hanno piacere (e non) di leggere i miei pensieri che, in quanto persona in evoluzione, sono in costante mutamento.
Punto 8: se la Sua identità non ha senso in questo blog (parole Sue) perchè lo legge? Perchè lo commenta? E in modo tanto superficiale, saccente e irrispettoso, per giunta?
Punto 9: io non La conosco, o meglio, Lei ha deciso preferibile non farsi da me riconoscere. Dunque io, non potendo che reagire alla Sua unilaterale decisione, Le faccio presente che agli sconosciuti sono solita dare del Lei. Con quale arroganza e finta confidenza Lei si permette di darmi del tu con un tono tanto paternalistico?
Punto 10: Mago Merlino aveva il dono segreto della "vista". Lei assomiglia più a Polifemo dopo il ferimento da parte di Ulisse.
Punto 11: Lei può continuare a leggere o meno questo blog, commentando a Suo piacimento. Ma sappia che riterrò personalmente la Sua una scelta vigliacca e incoerente fino a quando non avrà fatto l'estremo onore a noi tutti di svelare la Sua preziosissima identità. Se questo coraggio Le dovesse mancare La pregherei di risparmiare a me e tutti i lettori la Sua pedantesca ed irriguardosa filosofia da edicola.

Distinti saluti
Francesca Giordanino

giovedì 6 gennaio 2011

Miss Mondo




La Befana è arrivata
sulla scopa sciagurata.
Ha portato ai più piccini
tanti bei cioccolatini,
mentre ai grandi sfortunati
i carboni arroventati.
Sei tu buono o cattivello
in un dì tanto monello?
Dallo spirito fatato
non sperar d'esser graziato!
Come il Vate nel Suo mito
io qui annuncio il sacro rito:
"Il Destino è quel che è,
non c'è scampo più per me!!!"

Auguri a tutti.
Francesca


mercoledì 5 gennaio 2011

Inondazioni extrasensoriali



Quando mi capita di essere furibonda come questa sera mi verrebbe voglia di sparare a qualsiasi oggetto e/o persona in movimento. Senza distinzioni di sorta. Senza facili amnistie. Senza ripensamenti.
Mi piacerebbe essere all'interno di un episodio di Capitan Harlock o di Lady Oscar per punire a suon di ferro e fuoco il fraudolento adescatore di anime.
Ahimè! Non sono altro che una puerile e impotente femmina di umano, vittima delle sue fantasticherie e della sua inspiegabile fiducia nella sensibilità del suo prossimo.
Forse dovrei solo gettare la spugna, arrendendomi all'evidenza. Dovrei ammainare la bandiera pirata e riporre il cavallo in scuderia, vestirmi da clown girovago e iniziare a peregrinare scalza per il mondo.
A ben riflettere questa sarebbe una scelta saggia.
Gli afflati del cuore non sono solo e sempre delusi, sono ghigliottinati.
Giovanni avrebbe da ridire in proposito, io lo so.
Tirerebbe orecchie a destra e a manca, urlerebbe che le opportunità non si scialacquano con banali pretesti, che la vita è fragile e per questo ancor più preziosa.
Ma lui è solo un fantasma e i fantasmi hanno voce flebile che solo orecchie ben allenate sanno udire.
Io mi sono allenata talmente a fondo da sentire ormai più le voci provenienti da là che quelle del nostro fugace mondo di spettri.
Sì, perchè i veri spettri siamo noi, sfuggenti, incapaci di saltare in groppa al destino, evanescenti come fuochi fatui e vili come malattie infantili.
Stasera sto coi piedi nella terra e gli occhi puntati sulla porta aperta verso altri mondi.
E in quell'orizzonte riesco a vedere luci e bellezza e pace, vedo il valore delle piccole cose, la gratitudine per un sorriso, la gioia per un singolo pensiero dedicato.
Di qua non vedo che barriere e confini, alti muri di mattoni circondati da filo spinato attraverso cui non può passare alcun calore umano, ma solo le grida impotenti delle vittime quando ormai è troppo tardi anche per invocare aiuto.
Sì, stasera volo sul mondo come uno spiritello buffo, una befana moderna e viaggerò fino all'alba per trovare anche un singolo baluginìo d'argento nello sguardo di un salvato in mezzo alla sterminata marea dei sommersi.

Francesca




Nidi molesti



Spinta da una conversazione con un amico mi sono messa a riflettere sul significato della parola "famiglia", argomento quanto mai scottante in questo clima di feste.
Personalmente il "problema" non mi riguarda. Non ho una famiglia di origine a cui rendere conto delle mie decisioni e delle mie opinioni, non più. La mia famiglia è quella con cui vivo ogni giorno della mia vita, la persona accanto a cui mi sveglio, con cui litigo, con cui costruisco un legame, con cui affronto vittorie e sconfitte.
Il resto sono solo baggianate.
Sono residui di un cordone ombelicale mai reciso, molecole che vagano nel nostro organismo infette, che gettano male radici su qualsiasi rapporto intraprendiamo, facendoci fare tutte le scelte sbagliate possibili: mogli/mariti sbagliati, obiettivi sbagliati, figli sbagliati, opinioni sbagliate.
Siamo una società impaurita che si nasconde nel seno vetusto della madre per ciucciare il latte materno residuo senza avvedersi che le mammelle sono ormai avvizzite e regalano fiele al posto di qualunque consolazione.
Dobbiamo smetterla di delegare, delegare la responsabilità del nostro essere adulti, delegare il modo con cui affrontare i problemi, delegare le scelte, delegare la presa di coscienza.
Certo, diventare adulti e forti costa. E a volte il prezzo da pagare sembra intollerabile. Ma non si può recalcitrare innanzi a se stessi per un'apparente via di comodo che diventa la nostra prigione.
Quando avremo scaricato sui nostri genitori ogni problema e responsabilità, pensiamo forse che la nostra sarà stata una scelta gratuita?
Sarà una decisione che pagheremo, ogni giorno, in silenzio.
La pagheremo in termini di senso di colpa, di senso di dovere, di sottomissione.
Di libertà, insomma.
Non saremo più liberi di essere noi stessi, di accettare quei lati oscuri e preziosi che dovrebbero sbocciare lungo la via e invece rimarrano repressi a causa della pressione a cui vengono sottoposti.
E diventeremo persone diverse da ciò che siamo nell'intimo della nostra "ghianda", citando Hillman, perchè schiacciati dal peso invisibile dell'aspettativa, del ricatto - pur benevolo e inconscio -, della tacita pretesa di un "rimborso spese" per le nostre mancanze a cui altri hanno provveduto.
Forse sarebbe meglio trovarsi soli in una tormenta, spauriti, terrorizzati all'idea di non riuscire a superare la notte e lottare, lottare fino allo stremo per la propria sopravvivenza ignari fino all'ultimo dell'esito della battaglia che pagare un simile prezzo.
Io ho scelto la libertà. Ma non ho merito alcuno in questo perchè, in qualche modo, è lei che ha scelto me. La Vita non mi concesso altra possibilità, in effetti, per come la vedo io. E nella Sua estrema crudezza mi ha permesso di salvarmi, di liberarmi dell'utero molesto da cui tutti proveniamo e proseguire per la mia strada, sola.
Una volta qualcuno mi disse che sarebbe stato meglio che tutti i bambini del mondo fossero nati orfani.
Non condivido certo l'estremismo di tale opinione ma in qualche modo quell'uomo nella sua radicalità di pensiero aveva ragione.
Per scoprire il proprio seme, il germoglio autentico che giace nella nostra terra, giù, in profondità, c'è bisogno di silenzio. E il silenzio è concesso solo in due circostanze: da un Amore grande e consapevole che si fa da parte nel momento opportuno e dalla Solitudine.
Io ho sperimentato la seconda via.
Se qualcuno dovesse essere riuscito a trovare la "ghianda" tramite la prima sia cosciente di essere un individuo molto, molto fortunato.
Francesca



lunedì 3 gennaio 2011

Rottamazioni




Qual'è il limite di tristezza sostenibile che un essere umano è legittimato a provare di fronte ad avvenimenti di poco conto che però in qualche modo colpiscono il suo amor proprio, la stima che ha di se stesso e il riflesso che egli si illude di portare in giro per il mondo?
Oggi mi sento defraudata del mio istinto benevolo nei confronti del mio prossimo.
So che mi passerà presto, ma intanto languo in questo stadio psichedelico a metà tra la sonnolenza depressa e l'esaltazione da mistico abbandono.
Sentirsi rifiutati è una brutta sensazione, in qualsiasi campo e frangente.
Certo, esistono scale di valori che in qualche modo regolano le opportune reazioni ad ogni singolo caso, ma in fine sono poi così attendibili? E noi siamo davvero così capaci di applicarle doviziosamente alla nostra esperienza?
Ne dubito.
Vorrei di tanto in tanto essere una piattaforma che galleggia senza peso sul mare degli eventi, ma tale leggerezza non mi è stata fornita dal destino.
Quindi accuso il colpo e vado avanti.
Ho imparato bene come proseguire sul mio cammino, pur con le ossa rotte.
Solo che non vorrei essere sempre costretta a fare appello alle mie risorse.
Ma che fare? Ciascuno è ciò che è sempre stato.
Quindi oggi ascolterò per l'ennesima volta l'amato Debussy, preparerò una cena per due e taglierò il mio cuore come sono ormai solita fare.
I gatti hanno nove vite, almeno così dicono.
Io credo di avere almeno 120 cuori, parafrasando Wall-E.
Almeno non sto a turbarmi troppo quando se ne inceppa uno!
O trova il modo prima o dopo di far ripartire i suoi pistoni o viene sostituito.
Solo così si spiega come ancora possa battere nel mio petto.
Un grande abbraccio

Francesca

domenica 2 gennaio 2011

Pret-à-porter


Vi capita mai di pensare quanto il prossimo sappia talvolta essere screanzato e invadente?
E quando mi riferisco al prossimo non parlo certo delle persone a noi care, con le quali abbiamo quella confidenza naturale che rende frangibile qualsiasi barriera comportamentale e che rende lecito anche l'illecito; mi riferisco ai cosiddetti "estranei", quei "conoscenti" che armati di non si sa bene quale patente decidono che la buona creanza sia improvvisamente passata di moda, permettendosi di abolire in un microsecondo le distanze e arrogarsi una confidenza che - grazie a Dio - è figlia comunque di un rapporto non dico consolidato ma certamente non superficiale.
In questo sia maledetto Facebook. Sia maledetta la facilità con cui ormai ci si rivolge ad un "altro" senza neppure averne respirato l'odore una singola volta, o averne visto il sorriso alla luce artificiale di un bar davanti ad un boccale di birra. Sia maledetta la superficialità con cui si definisce la parola "amico", con cui si pensa di poter entrare nella vita privata di un altro senza neppure chiedere permesso, banalizzando ogni tentativo di legame.
Non fraintendiamoci. Non sono certo un orso che rifiuta qualsiasi contatto umano.
Chiunque mi conosca davvero ben sa che questa definizione mal si addice alla sottoscritta.
Solo vorrei esprimere la mia intolleranza verso la "pretesa" da parte di uno sconosciuto di essere parte della mia vita, la "pretesa" di estorcere il mio numero di telefono per non si sa bene quale ludico scopo. Questo significherebbe in qualche modo svilire il rispetto e la tenerezza che ho nei riguardi di persone che godono della mia fiducia, della mia lealtà e dei miei pensieri. Sarebbe buttare nel calderone rapporti più o meno importanti, senza distinzioni di sorta. Sarebbe mercificare una parte del proprio sentire a favore di nomi senza volto.
Perdonatemi. Sarò fatta all'antica.
Ma quando chiamo qualcuno "amico" è per un motivo serio, vero.
E - tra parentesi - si può essere amici anche senza essersi mai visti ma bisogna "coltivarsi", pur a distanza, intraprendendo un rapporto sincero volto alla reciproca crescita intellettiva, al rispetto e alla bellezza dell'incontro in sè, senza fretta.
Non dò il mio numero di telefono ad uno che me lo chiede nascondendosi dietro uno schermo, senza parole.
Sarebbe come distribuire bigliettini con il mio indirizzo per tutta Roma.
Solo che la maggior parte della gente non si accorge più della differenza, ormai.
Ma io sì.
Nell'era del fast-food emozionale io so ancora chi chiamare "amico", a chi concedere parte del mio cuore e a chi no.
E i miei amici con me.
Francesca

sabato 1 gennaio 2011

Libertà



Il 2011 è ufficialmente scattato.
Il silenzio è tornato dopo i bombardamenti della mezzanotte.
Nelle case sicuramente ci sarà chi festeggia, chi si dimena in mezzo ad una folla danzante, chi si scola fino all'ultima goccia di champagne - nei casi fortunati - o di Asti Cinzano - in quelli meno privilegiati - per inebriare l'animo o cancellare i ricordi.
Per quanto mi riguarda sono immersa nella quiete della mia stanza e non potrei desiderare di meglio.
Ormai non ho più l'età per lanciarmi in folli adunate, avventure nel gelo notturno e notti insonni.
E quando dico di non avere più l'età il sottotitolo recita: ormai non mi interessa più.
L'esaltazione nel mio caso proviene da altre fonti.
Certo, ci si può sentire diversi ed essere marchiati come tali.
Ma la serenità è qualcosa che non si può simulare: o la si possiede oppure no, a prescindere dalle nostre scelte.
Qualcuno scriveva anni or sono: "Nel bosco trovai due strade ed io scelsi quella meno battuta. Ed è per questo che sono diverso."
A tutti i "diversi" dunque, a tutti coloro che boicottano inconsapevolmente la propria normalità a favore del proprio "io", a tutti coloro che non sanno bene da dove provengano ma posseggono piedi saldi e un cuore forte io auguro che il nuovo anno porti nella loro vita molte avventure e periglio, una saggia dose di consigli preziosi, un senso incolmabile d'Amore verso l'infinito, in qualsiasi forma esso si presenti e un orecchio teso al proprio daimon, affinchè la sua voce raggiunga lo scopo e disveli la via innanzi ai loro occhi innocenti.
Buon anno di cuore, miei cari amici.

Francesca

PS: Ho scelto l'immagine del cavallo nel deserto perchè nulla potrebbe meglio rappresentare la libertà della mia anima, la mia natura selvaggia e la mia infinita ricerca verso la Vita.