Spinta da una conversazione con un amico mi sono messa a riflettere sul significato della parola "famiglia", argomento quanto mai scottante in questo clima di feste.
Personalmente il "problema" non mi riguarda. Non ho una famiglia di origine a cui rendere conto delle mie decisioni e delle mie opinioni, non più. La mia famiglia è quella con cui vivo ogni giorno della mia vita, la persona accanto a cui mi sveglio, con cui litigo, con cui costruisco un legame, con cui affronto vittorie e sconfitte.
Il resto sono solo baggianate.
Sono residui di un cordone ombelicale mai reciso, molecole che vagano nel nostro organismo infette, che gettano male radici su qualsiasi rapporto intraprendiamo, facendoci fare tutte le scelte sbagliate possibili: mogli/mariti sbagliati, obiettivi sbagliati, figli sbagliati, opinioni sbagliate.
Siamo una società impaurita che si nasconde nel seno vetusto della madre per ciucciare il latte materno residuo senza avvedersi che le mammelle sono ormai avvizzite e regalano fiele al posto di qualunque consolazione.
Dobbiamo smetterla di delegare, delegare la responsabilità del nostro essere adulti, delegare il modo con cui affrontare i problemi, delegare le scelte, delegare la presa di coscienza.
Certo, diventare adulti e forti costa. E a volte il prezzo da pagare sembra intollerabile. Ma non si può recalcitrare innanzi a se stessi per un'apparente via di comodo che diventa la nostra prigione.
Quando avremo scaricato sui nostri genitori ogni problema e responsabilità, pensiamo forse che la nostra sarà stata una scelta gratuita?
Sarà una decisione che pagheremo, ogni giorno, in silenzio.
La pagheremo in termini di senso di colpa, di senso di dovere, di sottomissione.
Di libertà, insomma.
Non saremo più liberi di essere noi stessi, di accettare quei lati oscuri e preziosi che dovrebbero sbocciare lungo la via e invece rimarrano repressi a causa della pressione a cui vengono sottoposti.
E diventeremo persone diverse da ciò che siamo nell'intimo della nostra "ghianda", citando Hillman, perchè schiacciati dal peso invisibile dell'aspettativa, del ricatto - pur benevolo e inconscio -, della tacita pretesa di un "rimborso spese" per le nostre mancanze a cui altri hanno provveduto.
Forse sarebbe meglio trovarsi soli in una tormenta, spauriti, terrorizzati all'idea di non riuscire a superare la notte e lottare, lottare fino allo stremo per la propria sopravvivenza ignari fino all'ultimo dell'esito della battaglia che pagare un simile prezzo.
Io ho scelto la libertà. Ma non ho merito alcuno in questo perchè, in qualche modo, è lei che ha scelto me. La Vita non mi concesso altra possibilità, in effetti, per come la vedo io. E nella Sua estrema crudezza mi ha permesso di salvarmi, di liberarmi dell'utero molesto da cui tutti proveniamo e proseguire per la mia strada, sola.
Una volta qualcuno mi disse che sarebbe stato meglio che tutti i bambini del mondo fossero nati orfani.
Non condivido certo l'estremismo di tale opinione ma in qualche modo quell'uomo nella sua radicalità di pensiero aveva ragione.
Per scoprire il proprio seme, il germoglio autentico che giace nella nostra terra, giù, in profondità, c'è bisogno di silenzio. E il silenzio è concesso solo in due circostanze: da un Amore grande e consapevole che si fa da parte nel momento opportuno e dalla Solitudine.
Io ho sperimentato la seconda via.
Se qualcuno dovesse essere riuscito a trovare la "ghianda" tramite la prima sia cosciente di essere un individuo molto, molto fortunato.
Francesca
Anonimo ha detto...