E poi infine arriva, la sgualdrina da poche lire.
Non chiede molto, solo mezz'ora per roteare il caleidoscopio del tempo e mostrare la sozzura, la miseria e gli inganni del passato.
Vorrei potermi alzare in simili frangenti e urlare col coraggio della follia: "Chi sei tu, puttana di borgata? Non ho bisogno di te, Malinconia. Vattene! Gira al largo chè questo marciapiede è già sozzo di fango a sufficienza e il tuo meretricio qui non darà buoni frutti!".
Ma lei resterebbe immobile, la schiena appoggiata ad un portone, in bocca il riso ingrato dell'ultima ora del condannato e i piedi luridi di miseria del quartiere. Con gesti osceni risponderebbe al mio ciarlare a vuoto, sdentata e beffarda, gravida di figli incestuosi.
No, è inutile rivolgerle parola nè sguardo alcuno.
E' preferibile tacere, volgere la testa e passare innanzi, ignorandone gli sputi e le licenziose promesse.
"Malinconia, t'ho fregata questa sera!
Il vino m'ha aiutata, chè questo è il suo mestiere.
Il vino e un ricordo di mani nude
che serravano il braccio fragile e ribelle.
Non mi farò trovare, a letto voglio andare,
senz'altro aver da fare che la tua melma ignorare."
Eppur s'annida la meretrice, eppure geme
e avviluppa, sorniona.
Il tempo recide i doveri e ogni legame di mutua fedeltà.
Mi si dia dunque un catino ove veder riflesse tutte le accuse:
mi specchierò nel fondo e poi me ne andrò,
lasciando il pavimento bagnato
e nessun perdono.
Francesca