mercoledì 18 giugno 2014

Mercanticidio



Do ut des.

Sono anni che mi imbatto in questa formula all'interno di qualsiasi rapporto umano, sia esso di tipo lavorativo, amicale o sentimentale.

Do ut des.

Ma siamo sicuri che questa formula abbia davvero a che fare con un rapporto onesto fra individui che si ritengono liberi e in grado di rispettare la libertà altrui?

Do ut des.

E' la formula preferita nel linguaggio di strada: "quanto vuoi"?
Semplice. Chiaro. Esplicativo.

Do ut des.

Eppure è la stessa frase - sebbene mascherata in modo differente - che utilizziamo in svariati ambiti della nostra vita: con i figli (ti dò il gelato se...), con i genitori (prendo un bel voto a scuola se...), con fidanzati/e (ti sposo se.../ faccio sesso orale se...), con i colleghi (ti faccio questo favore se...), con gli amici (andiamo a cena insieme se...), con gli amanti (continuiamo a vederci se...), con noi stessi (se ottengo quello che desidero allora...), perfino con Dio (se mi fai arrivare ciò che ti chiedo ti giuro che...).

Insomma, noi siamo schiavi - e schiavizzati - dal ricatto.
Continuo. Mellifluo. Sordo a se stesso. Muto per passare inosservato.
La nostra vita, la nostra intera esistenza è pianificata, retta e sovvenzionata dal ricatto: morale, economico, sociale, relazionale, politico, affettivo, religioso, culturale.

Mi chiedo cosa abbia a che fare l'Amore con il ricatto.
Nulla.
Almeno, l'Amore vero, quello che non chiede ma si dona gratuitamente.
L'Amore e la gratuità vanno di pari passo.
Allora mi domando ancora che spazio esista per l'Amore nel nostro mondo.
Alcuno, è la sola risposta.
Perchè di fatto - sia che l'idea ci piaccia o no - noi tutti siamo solo delle puttane che blandiscono i clienti per la strada per ottenere un facile compenso promettendo in cambio una parte di se stesse.
Non importa quale. 
Tutte le istituzioni che "contano" nel nostro mondo sono organizzate secondo questo principio: il mondo del lavoro, il matrimonio (che è la forma di contratto d'amore più vile e impietoso che possa esistere per l'animo umano), la famiglia (che è la nano società in cui il "ricatto" diventa un modo simpatico per crescere i figli ed "educarli" a diventare i bravi cittadini di domani).

Insomma, non c'è da stare allegri.
E soprattutto non c'è da stupirsi alla fin fine se fatti di cronaca nera riportano casi in cui un marito "normale" di una famiglia "per bene" alla Mulino Bianco Style una sera qualunque di giugno decide di sterminare la famiglia e tirare una boccata d'ossigeno.
Attenzione, non sto giustificando nessuno.
Sto semplicemente cercando di comprendere perchè gli esseri umani che hanno infinite opzioni davanti a sè decidono di sentirsi talmente in trappola da uccidere piuttosto che compiere scelte "contrarie alla imperante morale comune" e finire così ostracizzati e reietti dalla società "per bene" di un mondo in rovina.

La famiglia alla Mulino Bianco è un fallimento perchè si basa su una ipocrisia di base, ossia il concetto della "non-evoluzione" dell'uomo nel tempo: la donna sarà una strafiga fino a 80 anni, il marito guadagnerà milioni per tutta la vita, i bambini saranno belli e simpatici per sempre e tutti mangeranno Macine e Tarallucci per la gioia della gallina artista che razzola in compagnia di un noto attore hollywoodiano.

Forse sarebbe meglio accettare la realtà e ammettere che quel tipo di società è finita, che è giunta l'ora di cambiare pagina, di accorgersi che ogni Uomo è troppo ricco e prezioso per essere rinchiuso in una prigione qualsiasi etichettata ogni volta con un nome diverso per permettere a poteri forti e occulti di dominare meglio le nostre vite.
Forse sarebbe meglio affrontare il fallimento di un modello statico prima che centinaia, migliaia di altri nostri simili debbano pagare la nostra viltà con la follia, la morte, la desolazione di una esistenza vuota riempita a caso con beni di consumo e idee di consumo per percepire meno il senso di vacuità, di impotenza, di tragedia inesplosa che fa continue vittime intorno a sè. 
Forse sarebbe meglio cambiare la formula del rito nuziale e pronunciare parole come: "ti amerò fino a quando ti amerò perchè sapere se ti amerò tutta la vita non mi è dato saperlo, dato che non sono Nostradamus. E se un giorno non ti amerò più e la tua vista mi sarà odiosa ti prometto che ti farò il regalo più prezioso che essere umano possa concedere ad un altro: sarò onesto e ti aprirò il mio cuore e da quel momento avremo la libertà entrambi di decidere cosa è più saggio fare delle nostre vite."

In questi giorni - tra le varie ipocrisie che sento e leggo - ce n'è una che visibilmente mi reca più fastidio di altre: l'idolatria nei riguardi dei bambini.
I "bambini" che soffrono, che vengono uccisi, che "percaritànessunolitocchi".
Ma perchè? Un essere umano a 40 o 70 anni vale meno?
E' stato un bambino anche lui, sapete?
E forse al momento della sua morte si ricorderà delle macchinine che collezionava da bambino, delle persone che ha amato, delle città che ha visitato e proverà il  dolore forte di non poter più accedere a quelle gioie. Mai più. Un dolore consapevole e maturo che un bambino non potrà mai provare.
Io parlo di Anime.
Le Anime hanno centinaia di migliaia di anni.
Se viene ucciso un bambino o un vecchio di 80 anni per me è la stessa cosa.
Lo stesso orrore. La stessa ferita. 

Ma questa è l'ipocrisia che ci propinano per farci commuovere davanti ad immagini manipolatorie in tv e farci pensare con la loro testa.
Qualcuno mi chiederà. "Loro di chi?".
Io non sono qui per dare risposte.
Se ne volete andatevele a cercare.

Nel mio caso il "Do ut des" non vale.
Proprio no.

Nathaniel



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