domenica 14 giugno 2015

Essence of Larch




Lao Tze suggeriva nel Tao Te Ching che "si guarisce quando si è stanchi di essere malati".
Ora, personalmente credo che un tale grado di saggezza possa essere scardinata dal solo concetto riguardante la salute e applicata ad ogni ambito delle attività umane.
"Si diventa sapienti quando si è stanchi di essere ignoranti".
"Si diventa consapevoli quando si è stanchi di essere inconsapevoli".
"Si diventa vedenti quando si è stanchi di essere ciechi".

Sarebbe pur facile, detta così.
Ovviamente l'intero processo di mutamento parte dall'ammissione della propria ignoranza, inconsapevolezza, cecità, eccetera eccetera...
Nel nostro mondo "civilizzato" (che di civilizzato ha ormai solo le lattine dipinte da Warhol) chi conserva in sé il coraggio, il tempo introspettivo, il vizio per la verità da concedersi di riconoscersi in errore?
Siamo dunque in presenza del celebre paradosso del cane che si morde la coda.
Non si può diventare vedenti se non ci si accorge di essere ciechi.
Non ci si può accorgere di essere ciechi se non si ammette pur minimamente tale possibilità.

Chi o cosa alimenta lo status quo?
L'ego.
Che novità!
Questo fenomeno da baraccone che domina la nostra esistenza dalla A alla Z.
Quel nano da giardino che scambiamo per il gigante della montagna del nostro essere e che ci suggerisce continuamente all'orecchio le supreme verità in base a cui costruiamo la nostra quotidianità: se non abbiamo la gonna alla moda siamo "out", se non guadagniamo più del vicino siamo falliti, se non abbiamo la casa di proprietà siamo dei perdenti, se non abbiamo l'ultimo modello di palmare siamo da deridere, se non abbiamo la famiglia del Mulino Bianco siamo dei diseredati da Dio (anche se in Dio non crede in effetti più nessuno) e dalla società (anche se di fatto la società non esiste più: la società sarebbe un'identità composta da un insieme di persone che interagiscono fra loro. Nel nostro mondo non interagiamo nemmeno coi membri della nostra famiglia, figuriamoci con chi non ne fa parte....).

Tutti concetti che hanno a che fare con l'avere.
Ma noi siamo o abbiamo?
Quando ci presentiamo a qualcuno noi diciamo "Piacere! Sono Francesca Giordanino" oppure "Salve! Io posseggo Francesca Giordanino"?
Stranamente continuiamo ad usare la prima, di allocuzione.
Ma sarebbe più corretto usare la seconda.
Perchè di fatto noi non siamo, ma veniamo posseduti dall'ego, dalla nostra superficiale personalità che domina incontrastata la nostra intera esistenza, l'intero universo in cui ci troviamo a muoverci, ad illuderci di essere qualcosa o qualcuno mentre siamo solo succubi di qualcosa o qualcuno.
Noi abbiamo, non siamo.
Abbiamo successo o no.
Abbiamo un figlio o no.
Abbiamo un'auto o no.
Abbiamo un lavoro o no.
Abbiamo una moglie o un marito, oppure no.

Ma cosa siamo?
Chi di noi se fermasse qualcuno in una folla che si aggira al supermercato e chiedesse "Ma tu, chi sei?" si troverebbe qualcosa in risposta di diverso da una semplice declinazione di generalità?
Io non sono un poliziotto o un messo comunale, non mi interessa sapere chi sei per l'anagrafe.
Mi interessa sapere chi sei per la Terra, per l'Universo, per l'umanità secondo la tua opinione, il tuo profondo sentire animico.
Chi di noi sa rispondere DAVVERO a questa domanda?
A chi di noi la risposta salirebbe a fior di labbra come un canto spontaneo, una preghiera, un'invocazione di gioia, un tributo alla vita?

Se alla domanda "Tu chi sei" l'unica risposta che ci viene in mente è il nome che abbiamo inciso sul passaporto... beh... ecco... abbiamo un buon indizio per comprendere più a fondo la diatriba iniziale suggerita da Lao Tze. 
Se io sono convinto di essere solo una carta di identità, forse non vedo bene. 
Forse potrei rischiare - seguendo questa linea di ragionamento - di diventare per un attimo consapevole delle mie inconsapevolezze.
E se quell'attimo - prezioso più di qualsiasi miniera di diamanti -  non lo lasciassimo fuggire come un lampo nei bagliori dell'eternità, ecco che potremmo fermare il tempo.
E cambiare per sempre la nostra vita.


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