domenica 6 luglio 2014

Pioggia di bambù



Questi sono stati decisamente giorni difficili.
Dopo mesi di evidenti traversie subire altri contraccolpi può diventare fatale.
Ieri avrei desiderato morire.
Sarebbe stato facile,  senza ripensamenti, rapido.
Ieri la vita non era granché.
Tutta la mia vita e quello che conteneva.
Mi sono ritrovata ad avere a che fare con la solita bestia senza nome e senza ossa, quella che ti serra la gola aspettando che tu faccia anche una singola mossa per affondare i denti nella giugulare  e succhiarti fino all'ultima goccia di sangue.
Ieri ero sola quasi fossi stata l'ultima donna sul pianeta.
Ieri è stato un giorno di 37 anni contratto in poche ore.

Ciò che so oggi è che non rinnego quello che ho sentito ieri. Come potrei farlo?
Nè me ne vergogno o ne provo compassione o tristezza.
Guardare lucidamente se stessi può essere sconvolgente e costringere alle più impensate azioni.

Ma ieri non sono morta.
Al massimo dopo un anno di astinenza ho trovato e utilizzato l'unica droga che io abbia mai consumato nell'arco dell'esistenza, l'optalidon.
E non mi è neanche piaciuto.

Non sono una super donna, non sono una santa né una peccatrice.
Non voglio concepire un figlio per dispetto né vincere un concorso per vendetta.
La frase "Ve la farò vedere io!" è lontana anni luce dalla mia bocca e ancor più dalle mie sinapsi.
Non ho più nulla da dimostrare.
Non ho più battaglie da vincere o perdere.
Non ho più detrattori da redimere.

Ho solo la mia onestà intellettuale dopo anni di calci in faccia, violenze morali e materiali di ogni tipo subite per l'altrui compiacimento e/o vendetta, solitudini troppo grandi per essere raccontate a parole.

Voler morire non è un atto di vigliaccheria ma in qualche modo un gesto di speranza: la speranza di poter avere un'altra occasione di riscatto, di felicità magari con un altro nome, un'altra faccia, un altro vissuto.

Ieri ho rinunciato anche a quella speranza.
Ho risposto ad un telefono che continuava a trillare perché ritenevo ingiusto far preoccupare qualcuno per una miserabile mia pari. Ieri ho disintegrato anche l'ego dell'aspirante suicida, quello che si compiace dell'attenzione altrui, pur strappata con violenza e avidità di conquista.

Cosa significa rinunciare alla speranza?
Significa accettare la vita così com'è.
Senza pretese. Senza ipocrisie.
Senza idealismo o velleità d'artista di second'ordine.

A volte quando si perde, si vince.
Ma non si deve sapere che poi si vincerà.
Bisogna solo sapere che si perderà tutto: la dignità,  l'umanità, il possesso, l'orgoglio, la speranza, l'aspettativa, la personalità,  la forma persino.

Ieri non ho cercato la morte - che forse se l'avessi cercata davvero avrei saputo trovarla.
Ieri ho cercato la morte di Francesca, questo involucro vuoto fatto di etichette, reggiseni, slip di pizzo, vestiti bianchi di lino, Hyundai grigia, famiglia in vacanza in Grecia con barca e cane, violino del '700, ore di studio andate a vuoto, carriera senza senso, talento messo in dubbio dalla culla, affetti negati per nascita, violenze piombate sempre da ogni angolo, sangue, dolore, morte, una tomba in cui si è visto seppellire un amico di nome Giovanni a soli 16 anni, fidanzati più o meno disastrosi che si sono barbaramente divertiti per bieche soddisfazioni sessuali, amici che hanno tentato di fare altrettanto, amiche che non sono mai state tali, persone che hanno invidiato.... cosa? La fatica spesa nel sopravvivere presumo.

Francesca non è che un simulacro, un incantesimo prodotto per ingannare la vista altrui. Il classico "pacco regalo" che vale più del regalo.

La verità è che io non sono affatto Francesca. Francesca è il modo in cui gli altri mi vedono. E con "altri"  intendo proprio tutti gli altri, famigliari compresi.
Nessuno se ne abbia a male, per carità.
Non ho intenzione di sbucciarmi come una banana per ferire qualcuno di proposito ma solo perché quella buccia proprio non mi rappresenta più.

Se potessi forse vorrei anche sbarazzarmi del mio corpo e del mio nome per essere solo ciò che sono all'interno, in profondità.

Svegliatami questa mattina con la mia pelle addosso e con l'odore dei miei capelli ficcato nelle narici non ho potuto far altro che constatare che Francesca era ancora lì al suo posto.
Ma io no.
E la mia non è certo schizofrenia galoppante, per quanto questa notizia farebbe la gioia di molti su questa Terra. 

Francesca - ovvero la personalità che porta questo nome dato per giunta da altri al momento della nascita - è morta pian piano lungo questi 37 (quasi 38) anni.
È morta come muore senza altra possibilità qualcosa destinata alla temporalità, vinta dalle leggi della causalità e della materia.

Ciò che è sopravvissuto non è corpo, non è personalità,  non è memoria, non è un atto di volontà. 

È.
Ed è più che sufficiente.

Che taluni siano in grado di percepirlo o no.

Nathaniel




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