venerdì 8 aprile 2011

Tunnel



Stamattina con gli occhi ancora semichiusi dal sonno mentre già scorrevo le righe de "La bestia umana" mi sono chiesta come abbia potuto arrivare ai 30 anni senza aver mai letto Zola.
Fatalità, certamente. Un errore, un impiccio del Destino.
Un impiccio oserei dire scandalosamente invalidante.
E' ben vero che le miserie che il francese ha la capacità di inoculare quasi per via endovenosa rimangono appiccicate all'anima come una maledizione e forse sarebbero state mal digerite dal mio spirito giovanile votato all'idealismo reale.
Ma di certo questo è un rischio che ben avrei amato correre. Almeno a posteriori.
Zola non dà tregua. E' la mannaia che si posa sul collo dell'illusione e ne trancia qualunque filamento, senza pietà o rimorso alcuno. E' l'uomo che stolidamente vede la rovina avvicinarsi e non fa nulla per togliersi dai binari sui quali la propria locomotiva lo sta conducendo, disperatamente.
E' la storia di un'umanità che vede se stessa senza ipocrisie e si compiace pur della propria sozzura, dei propri delitti, del proprio "male".
Risalendo il fiume della narrazione si è completamente avvinti da questo magma di follia ineluttabile, una forza che spinge verso il basso, verso la disperazione, l'obnubilamento di ogni ragione umana, a favore di un totale accecante abbruttimento. E se per un poco la lucidità durante la lettura ti coglie, ti rendi conto che tu stesso spingi il piede sull'accelleratore della precognizione, che già cogli con il pensiero immaginifico l'orrore futuro e per esso parteggi, partecipando con avidità dell'inabissarsi dell'umano a favore di qualcosa d'altro.
Non è nemmeno bestiale, l'impulso, chè le bestie sanno e coltivano l'autoconservazione.
E' qualcosa di maligno e malato che fa di sè l'oggetto del proprio accanimento, un alito di genio malefico che costringe alla distruzione non solo della propria carne ma dell'idea stessa di essere umani.
"Ogni speranza è morta" - parafrasando Violetta.
Ad ogni frase si ode lo stridore del deragliamento, la sirena dell'inabissarsi verso regioni ignote e mostruose, ove nessuna regola del vivere quotidiano partecipa ancora di un senso qualsiasi.
Ed è dolcissima vertigine per gli occhi, coltello affilato nel cuore.

Francesca

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