sabato 25 giugno 2011

Il Tempo: perduto e ritrovato

Mucha - La Danza


Due settimane or sono comprai una sorta di diario per un amico.
E cominciai a riempirlo di stralci di opere a me care -  poesie, diari, romanzi - letti nel corso degli anni e che avevano in qualche modo segnato il mio Tempo e il mio Destino.
Inserii persino interi brani da film o frasi celebri di cartoni animati come il motto di Sailor Moon o del Daitarn III che partecipavano della mia anima più fanciullesca ma che non per questo erano meno veri.
Il tutto coadiuvato da immagini cercate sul web e poi stampate che avevano funzione di parentesi silenziose, dalla poetica bellezza delle incisioni del Dorè per la Divina Commedia alla spavalderia di Lady Oscar in sella al suo bianco destriero.
Ci lavorai per giorni, 4 o 5 ore al giorno, felice.
Felice di quello che avrei condiviso, felice di quello che avrei donato, felice di cosa forse avrei suscitato.
Una sola altra volta mi era capitato di "partorire" un progetto simile.
E non era andata molto bene. Alla fine il destinatario aveva preferito navigare piratescamente verso altri lidi e l'oggetto in questione era rimasto nelle mie mani.
Probabilmente ancora è conservato in qualche misterioso pertugio della mia mansarda torinese.
Questa volta però è andata anche peggio.
Chi può immaginare quale oceanico trasporto muova l'animo di chi si accinge ad un simile lavoro?
E' come raccogliere pezzi della propria vita passata e racchiuderli in una scatola a totale beneficio dell'altro, senza nulla chiedere in cambio se non un minimo ricoscimento del proprio esistere. 
Quale immensa, grandiosa fiducia è necessaria per compiere un simile gesto?
Straordinaria, sì, lo ammetto. Quasi folle.
Tuttavia voler Bene a qualcuno in questo mondo è da folli ormai;
dunque, mi chiedevo, perchè spaventarsi tanto?
Ma a metà dell'opera cominciarono i guai.
Tra incomprensioni, silenzi e allontanamenti confusi iniziavo a chiedermi perchè stessi continuando quella fatica. Ore ed ore di trascrizioni a mano quotidiane di poesie di Prevert e Goethe e di Anna Achmatova e Alda Merini; dei diari di Van Gogh; della Lettera al Padre di Kafka; e di - immodestamente forse - anche qualche mia poesia. 
Nonchè confessioni. Oh sì, a matita, tra un "Adamo ed Eva" di Klimt e "L'investitura" di Leighton, avevo dato libero sfogo ai miei dubbi, a notte fonda, di ritorno dal lavoro. Perchè lui sapesse. Perchè lui leggesse da me la fiducia che - nonostante tutto - continuavo a nutrire. Perchè si rendesse conto che tutti pagano un prezzo per aprirsi verso l'altro.
E che tutti, proprio tutti, hanno paura.
Quando le incomprensioni divennero maggiori cominciai a nutrire la sorda tentazione di distruggere il libretto.
Lo scrissi fra quelle pagine, tremando, come si fa con un sospetto, con un oscuro presagio.
E mi servì. Mi aiutò a portare avanti il mio proposito. Almeno per qualche tempo.
E anche se ogni volta che posavo gli occhi sulla rigida copertina arabescata un coltello affondava nel mio petto, beh, malgrado ciò resistevo, in nome della mia fiducia, della mia speranza.
Ieri sera però tutto è cambiato, di colpo.
Un messaggio, una parola di troppo, una non detta.
E l'indifferenza, quella atroce costante agonia che ti lascia in balìa del nulla senza neppure un appiglio su cui poter continuare a vivere, infine ha vinto. 
Così mi sono arresa al suo diniego e al mio istinto di sopravvivenza e ho fatto a pezzi il libretto.
Con metodica pazienza.
Prima ho divelto le pagine dalla copertina. E poi ho ridotto ogni singolo foglio a brandelli.
Un coriandolo d'anima steso su ogni mio silenzio.
Ma non bastava. No, non sarebbe mai bastato.
Non potevo semplicemente disfarmene.
C'era bisogno di un gesto riparatore per me, un gesto salvifico che mi emendasse dalla colpa di esser caduta nuovamente nel tranello illusorio dell'affetto al pari di una sciocca educanda d'ottocentesca memoria.
Così sono tornata a casa e appena rientrata a mezzanotte circa mi sono diretta in bagno.
Con il vestito da concerto ancora indosso e i piedi scalzi ho iniziato a gettare quei miseri resti nell'acqua; e così poco alla volta sono spariti, diretti verso il nulla, umidi e scoloriti, con l'inchiostro via via sempre più illeggibile.
Ed i miei occhi per tutto il tempo non hanno versato neppure una singola lacrima.
Ero libera. Forse con un pezzo in meno, ma libera.
Ed oggi lo sono ancora. 
Ciò che resta dopo tanta mutilazione è solo un misero involucro di cartoncino arabescato, che troneggia come un re tronfio e beffardo sull'armadio davanti alla porta di casa, vuoto.
Forse un giorno butterò anche quello.
Anche se in verità non ha più grande importanza.

Francesca

PS: Scrivo qui di seguito una delle tante poesie che avevo inserito all'interno 
      del famigerato libretto.
      La composi in treno tra Bologna e Torino nel 2003, in un giorno di rapida felicità.
      Ho scelto questa in particolare non per il suo contenuto ma perchè mi è molto cara
      e rappresenta al meglio il mio cuore segreto.
  
      Buonanotte a tutti




Tornando a casa
        Ti amo,
col rugginoso sapore 
dei binari infisso nella memoria 
sensibile ai mutamenti.
Il ronzìo delle genti
si scioglie in brusìo lontano.
L'unico suono vivente
        sei Tu.








2 commenti:

  1. Solo un mano d'angelo
    intatta di sè, del suo amore per sè,
    potrebbe
    offrirmi la concavità del suo palmo
    perché vi riversi il mio pianto.
    La mano dell'uomo vivente
    è troppo impigliata nei fili dell'oggi e dell'ieri,
    è troppo ricolma di vita e di plasma di vita!
    Non potrà mai la mano dell'uomo mondarsi
    per il tranquillo pianto del proprio fratello!
    E dunque, soltanto una mano di angelo bianco
    dalle lontane radici nutrite d'eterno e d'immenso
    potrebbe filtrare serena le confessioni dell'uomo
    senza vibrarne sul fondo in un cenno di viva ripulsa.
    Alda Merini... con affetto V.

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  2. Ti voglio bene.
    Aggiunger altro sarebbe da pazzi.
    Francesca

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